Il saggio dell’avvocata Alberta Antonucci è un prontuario (precisissimo) di diritto della rete e un vademecum degli errori e delle incomprensioni più comuni.
Vademecum necessario per navigare il mondo della rete, breviario da adottare in tutte le scuole, ponte generazionale tra genitore analogico e figlio digitale. “La maleducazione digitale – Quello che nessuno ti spiega del web”, scritto dall’avvocata Alberta Antonucci, insieme a Mattia Miglio e Giulio Alessio, è tutto questo e molto di più. È uno strumento che (era ora) fa il punto su una questione troppo spesso fraintesa: la vita online richiede la medesima responsabilità, rispetto e riguardo della vita offline.
Le regole sono le stesse (anzi, per certi reati, se commessi in rete viene riconosciuta un’aggravante) ma sembra che molte persone lo dimentichino o lo ignorino proprio.
«Noi lo abbiamo pensato per i genitori, che sappiano spiegare ai figli cosa succede su internet e, soprattutto, il comportamento che devono tenere i ragazzi». Ma è un testo utile «anche per le scuole». Viene trascurato troppo spesso il fatto che «anche in rete ci sono conseguenze per le azioni che si fanno. E possono essere civili e in certi casi penali».
Nel mondo di internet capita spesso che persone del tutto normali perdano il controllo, si abbandonino agli insulti e alle minacce o prendano di mira celebrità e sconosciuti colpevoli di non pensarla come loro. Un dualismo alla Jeckyll e Hyde che sorprende. «È un fenomeno su cui mi sono interrogata a lungo», spiega l’avvocata, esperta di diritto del web e fondatrice dello studio Legale On the Web Side. «La risposta è nell’anonimato». Il nickname, il falso schermo di una diversa identità digitale «fa acquistare coraggio e dà linfa vitale all’hater». Una situazione di presunta deresponsabilizzazione «che tira fuori il peggio delle persone».
A questo si aggiunge la mentalità, diffusa, secondo cui la rete «non sia vista come un bene comune all’interno del quale si condividono idee positive»: prevale invece l’aspetto dell’arena, del luogo selvaggio in cui «si farebbero cose che nella vita reale non si farebbero». Il tutto va disegnare i contorni di «una finta libertà».
I ragazzi (ma anche molti adulti) si trovano catapultati in un ambiente dove vigono regole precise «ma non le conoscono». Per certi versi è comprensibile: il diritto d’autore e l’impiego abusivo delle immagini appartengono a un’area professionale distante dalla loro realtà quotidiana.
Ciò non toglie che impararle sia necessario. «Si trovano in un mare di possibilità e opportunità. Prendono, copiano, incollano. Non si pongono nemmeno il problema del copyright». Un libro come questo è un’opportunità per introdurre il tema, spiegare, fissare con chiarezza cosa si può fare e cosa no. Fino a comprenderne le ragioni e, in caso, le sanzioni.
Non per niente il volume comprende anche altre due realtà molto importanti. Il cyberbullismo e il revenge porn. «Il primo è una norma pensata proprio per i minori. La legge non definisce in modo chiaro cosa sia cyberbullismo, vengono elencate diverse condotte in cui si manifesta – le ho contate, sono 13: dalla diffamazione alla violenza privata».
Il revenge porn invece («che è inquadrato nel cyberbullismo se commesso su minori») definisce un reato specifico, riguarda la diffusione, con il fine della vendetta, di immagini intime di una persona con cui si è avuta una relazione. «Nasce con il Codice Rosso», contro le violenze e i maltrattamenti e gli atti persecutori. In questo caso «l’elemento della vendetta risulta cruciale». Se è assente «si commette comunque diffamazione, aggravata per l’impiego di mezzi elettronici».
Per muoversi con consapevolezza, giuridica e non solo, “La maleducazione digitale” è la guida giusta. Si compone di lezioni brevi ma chiarissime e offre spiegazioni definite su aspetti a volte opachi, come le licenze di Creative Commons o le distinzioni tra ingiuria e diffamazione nelle chat (soluzione: è diffamazione, perché permangono nel tempo). Ma è più di tutto, uno strumento per una missione civilizzatrice: quella di portare, o riportare, il contegno e la dignità anche nei comportamenti del web. Missione oggi più che mai necessaria.
Articolo completo disponibile qui.
Dario Ronzoni