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Diffamazione a mezzo facebook e provocazione soggettivamente percepita

1. Con la sentenza che qui si commenta, la Cassazione torna ad occuparsi dei profili di carattere penalistico sottesi alle condotte diffamatorie…

1. Con la sentenza che qui si commenta, la Cassazione torna ad occuparsi dei profili di carattere penalistico sottesi alle condotte diffamatorie poste in essere a mezzo social. Nella vicenda in esame, ai due odierni imputati veniva contestato di aver offeso pubblicamente su Facebook un ciclista professionista – appartenente al team sportivo di uno dei due imputati – per non aver preso parte ad una gara. Dopo la sentenza di condanna emessa dalla Corte d’Appello, la difesa presentava ricorso per cassazione, rilevando che i commenti dei due imputati dovevano ritenersi scriminati ai sensi dell’art. 599 c.p.: secondo la tesi difensiva, tali esternazioni non costituivano – come concluso nella sentenza impugnata – una reazione all’impossibilità del ciclista a prendere parte a una competizione ciclistica a causa di un infortunio. Piuttosto, nell’ottica della difesa, tali apprezzamenti sarebbero state provocate da una serie di comportamenti poco professionali posti in essere dall’odierna persona offesa.
Come si può leggere nelle motivazioni, la Suprema Corte respinge tale censura e, nel confermare le conclusioni a cui era pervenuta la Corte d’Appello, puntualizza che il giudice di merito “si è attenuto al condiviso orientamento della giurisprudenza di legittimità secondo cui il comportamento provocatorio […] che causa lo stato di ira e la reazione offensiva dell’offensore, anche quando non integrante gli estremi di un illecito codificato, deve comunque potersi ritenere contrario alla civile convivenza secondo una valutazione oggettiva e non in forza della mera percezione negativa che del medesimo abbia avuto l’agente” (p. 2).
In breve Detto altrimenti, “non è dunque sufficiente che questi si sia sentito provocato, ma è necessario che egli sia stato oggettivamente provocato” (pp. 2-3).
In definitiva, i menzionati principi, precisa la Corte, non possono trovare applicazione nella vicenda in esame, dal momento che le allegazioni della difesa integrano un’ipotesi di provocazione solo soggettivamente ritenuta senza che, a monte, la persona offesa abbia posto in essere un comportamento oggettivamente ingiusto tale da determinare lo stato d’ira che ha determinato la commissione dei fatti diffamatori ex art. 595 c.p.

Articolo completo disponibile qui.

Alberta Antonucci e Mattia Miglio

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